Roma, 11 novembre 2024
Circolare informativa 14/2024
(a cura di Alessandra Razzi)
COMPATIBILITA’ DI CARICHE SOCIALI E LAVORO SUBORDINATO
Il tema della compatibilità della titolarità di cariche sociali e svolgimento di attività di lavoro subordinato per la stessa società è stato oggetto negli anni di numerosi interventi giurisprudenziali che hanno avuto una risposta definitiva con la Sentenza di Cassazione a Sezioni Unite n. 1545/2017. In particolare, la Corte di Cassazione ha sancito il criterio generale in base al quale l’incarico di amministratore in una società di capitali non esclude astrattamente, fatte salve alcune eccezioni, la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato.
La costituzione di un rapporto di lavoro subordinato impone però un’attenta valutazione delle responsabilità e delle mansioni riconducibili ai due ruoli. Secondo la stessa Cassazione, infatti, “le qualità di amministratore e di lavoratore subordinato di una stessa società di capitali sono cumulabili purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed è altresì necessario che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società”.
Con il messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019, l’Inps ha rivisitato la propria posizione originaria, particolarmente rigida, che prevedeva aprioristicamente l’incompatibilità dei due ruoli, uniformandosi ai principi giurisprudenziali. Nel messaggio l’Istituto ha fornito le istruzioni per verificare la compatibilità dello status di amministratore con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato richiedendo l’accertamento caso per caso delle seguenti condizioni:
- il potere deliberativo deve essere affidato ad un organo collegiale;
- deve essere fornita la prova di un vincolo di subordinazione[1], ossia l’assoggettamento del lavoratore al potere di
supremazia gerarchica di un altro soggetto, nonostante la carica sociale ricoperta dallo stesso;
- il soggetto deve svolgere concretamente mansioni estranee al rapporto organico con la società. In altre parole, deve trattarsi di attività che esulino e pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta.
[1]”Il vincolo di subordinazione è ritenuto sussistente anche nella forma più attenuata del lavoro dirigenziale”
L’Ente nel messaggio propone inoltre un’analisi di compatibilità per specifiche cariche che di seguito riassumiamo.
Amministratore Unico: con riferimento alla carica di Amministratore Unico è confermata l’incompatibilità di tale carica con un rapporto di lavoro subordinato, in considerazione del fatto che l’Amministratore unico esprime da solo la volontà della società, come anche i poteri di controllo, comando e disciplina. In tal caso la mancanza di una distinzione tra la posizione di lavoratore ed organo societario porta a sancire un principio di non compatibilità tra i due ruoli.
Amministratore Delegato: in merito a tale carica la compatibilità con lo status di lavoratore subordinato dipende da quanto previsto nella delega conferita dal Consiglio di Amministrazione:
– nelle ipotesi in cui l’amministratore sia munito di delega ampia con facoltà di agire senza il consenso del CdA è esclusa la possibilità di intrattenere un rapporto di lavoro subordinato;
– Diversamente, l’attribuzione di specifiche e circoscritte deleghe all’amministratore non è ostativa, in linea generale, all’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente.
Presidente del Cda: poiché il Presidente, al pari di qualsiasi membro del Cda, può essere soggetto alle direttive ed alle decisioni dell’organo collegiale, anche qualora gli sia stato conferito il potere di rappresentanza, la compatibilità con il rapporto di lavoro subordinato può considerarsi sussistente.
Socio Unico: con riferimento alla figura del socio unico, anche laddove venga adottato un sistema di amministrazione collegiale, il cumulo della carica sociale con un rapporto di lavoro subordinato è escluso. La concentrazione della proprietà nelle mani di una sola persona esclude, nonostante la perdurante esistenza della società come distinto soggetto giuridico, l’effettiva soggezione dell’unico socio alle direttive di un organo societario.
Sempre nella medesima prospettiva tale cumulo non è consentito neppure nell’ipotesi in cui l’amministratore, benché non sia socio unico, rivesta tuttavia la posizione di “socio sovrano”, così definito poiché possiede una partecipazione al capitale capace di assicurargli da sola la maggioranza richiesta per la validità delle deliberazioni delle assemblee. Il motivo è che in tal caso da esso dipendono la nomina e la revoca degli amministratori, l’irrogazione delle sanzioni disciplinari, l’assunzione di lavoratori e il loro licenziamento, l’esercizio del potere direttivo e di controllo sul personale. In tali casi il socio si presenta come l’effettivo e solo titolare del potere gestionale della società al punto da identificarsi con l’attività dell’imprenditore, di per sé incompatibile con la posizione di lavoratore subordinato.
La compatibilità della qualifica di socio-amministratore con quella di lavoratore dipendente può invece sussistere nel caso di socio di maggioranza relativa qualora detenga una partecipazione inferiore al 50% +1.
Nel rispetto dei criteri fissati dall’Inps che garantiscano la sussistenza del vincolo di subordinazione è possibile prevedere la cumulabilità degli incarichi sia per l’amministratore socio di minoranza che per l’amministratore non socio.
Conseguenze in caso di disconoscimento del rapporto di lavoro
L’accertamento dell’incompatibilità dei due ruoli (dipendente e amministratore) da parte dell’Inps comporta il disconoscimento del rapporto di lavoro subordinato con conseguenze diverse a seconda che sia accertato o meno il dolo nella costituzione della posizione assicurativa o meno.
Se non viene rilevato il dolo l’Inps procede alla riqualificazione del rapporto di lavoro e il relativo compenso è trattato come “compenso amministratore”, con la conseguente traslazione dei contributi versati dal fondo pensione dei lavoratori verso la Gestione Separata. Il travaso dei contributi nella Gestione Separata avrà una conseguenza a livello di calcolo della futura pensione.
Se viene accertato il dolo nella costituzione della posizione assicurativa, la contribuzione indebitamente versata non è soggetta a rimborso e la relativa contribuzione è annullabile.
Inoltre, la società dovrebbe sopportare le sanzioni per la conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente.
Va da ultimo rilevato che l’accertamento sull’ammissibilità o meno del cumulo dei ruoli non dispiega effetti esclusivamente sul piano civile, venendo in rilevo anche aspetti penali.
Invero, qualora il cumulo fosse stato predisposto con la consapevolezza di creare un fittizio rapporto di lavoro subordinato allo scopo di riscuotere gli assegni familiari e di fruire della copertura assistenziale e mutualistica, potrebbe essere ipotizzata a carico dei responsabili la fattispecie di reato di cui all’art. 640 c.p.
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Cordiali saluti,